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Un arrivederci o un addio?

Da qualche anno ho imparato, con grande difficoltà, ad abbandonare la lettura di un libro se non riesce a coinvolgermi, tuttavia un senso di fallimento mi coglie ogni volta che, sfilando il segnalibro, chiudo il volume e lo ripongo in libreria senza essere arrivata all’ultima pagina.

E’ successo anche recentemente con un classico, Il Partigiano Johnny, di Beppe Fenoglio. Eppure non mi rassegno ancora all’idea di lasciarlo lì, tra le colline, senza sapere che destino avrà. Mi dico che forse, in un altro momento della mia vita, sarò pronta a immergermi in questa storia. Per il momento però ho dovuto salutarlo, per salvaguardare quello che deve essere il piacere della lettura.

C’è tuttavia un lato positivo in questo mio tentativo: l’aver gustato piccoli stralci di grande scrittura, come questa descrizione, in cui Johnny osserva suo padre e riflette sul ruolo dei genitori e dei figli; quanta verità in queste parole:

“Vide distintamente, a grande distanza, suo padre salire alla villetta [ …], colpì Johnny la stanchezza, la non-joy del suo cammino. Lo seguì per tutto il tratto scoperto, il cuore liquefacentesi per l’amore e la pietà del vecchio… […] Ogni suo passo parlava di angoscia e di abnegazione, ed il figlio alto e lontano sentiva che non avrebbe mai potuto ripagarlo, nemmeno in parte centesimale, nemmeno col conservarsi vivo. L’unica maniera di ripagarlo, pensava ora, sarebbe stata d’amare suo figlio come il padre aveva amato lui: a lui non ne verrà niente, ma il conto sarà pareggiato nel libro mastro della vita.”

E’ un definitivo addio a questo partigiano con la passione per la lingua e letteratura inglese, condivisa con l’autore (e con me), che non perde occasione per inserire termini anglosassoni nel testo, oppure un arrivederci? Un arrivederci…definitely.

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