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Quel Pequod eburneo…

Il post di oggi potrebbe rientrare nella categoria dei consigli di lettura, nel cassetto delle citazioni o in quel ricco armadio delle parole da indossare. Ho scelto l’ultimo, perchè la parola di oggi, nella quale mi sono imbattuta ieri dopo tanto tempo, mi piace davvero tanto: rievoca un colore che amo, quella tonalità indecisa tra l’estremo bianco e l’incerto beige, rappresenta la mediazione tra una scelta netta e un colore che sa di “compromesso”, l’equilibrio tra il puro, l’incontaminato e il vissuto.

Il vocabolario Treccani mi insegna che eburneo è “bianco come l’avorio”, e l’avorio rimanda inevitabilmente al mondo animale, alla natura selvaggia, al colore intaccato da avversità, calamità naturali o semplicemente segnato da lotte e venato di resilienza.

E come non definire allora eburneo l’eroico “Pequod“, la baleniera del capitano Acab, indomito e vendicativo perseguitato e persecutore di Moby Dick, balena bianca simbolo di tutto quanto ci possa essere di “sfidante” nell’esistenza umana?

Moby Dick, un altro classico rispolverato in questo strano tempo, un tesoro nascosto che, malgrado l’approfondito studio universitario, non avevo in gioventù apprezzato abbastanza.

Vi lascio con una breve descrizione, che probabilmente stuzzicherà qualche animo curioso e tenace (non è certo lettura facile nè estemporanea), e chissà che qualche altra copia impolverata di questo capolavoro di Melville, ignorato in vita e rivalutato solo dopo la morte, non torni ad occupare altri comodini oltre il mio, durante l’estate che si avvicina.

Era uno spettacolo pieno di viva meraviglia e di terrore! Il vasto ondeggiare del mare onnipotente: il ribollente,cavo muggito delle onde che sbattevano lungo gli otto parabordi come bocce gigantesche in un infinito campo da gioco; la breve, sospesa agonia della lancia quando rimaneva in bilico per un istante sulla lama delle onde più affilate, tanto affilate che sembravano quasi minacciare di tagliarla in due […. ] tutte queste cose, unite alle grida dei comandanti e dei ramponieri e all’ansito rabbrividente dei rematori, con il mirabile spettacolo del “Pequod” eburneo che incalzava le sue lance con tutte le vele distese, come una gallina selvatica dietro la covata che strilla: tutto ciò era esaltante.”

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