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Io e il mare

 

Vengo in questo posto da anni. Il

mare di qui mi ha vista sognare, crescere, realizzare alcuni sogni, infrangerne

altri. Ogni anno mi trova cambiata, e ogni anno mi accoglie con la stessa

paziente calma, immaginario genitore che periodicamente attende, ansioso e

indulgente, il ritorno di una parte di sé.

 

Quando vedo il mare mi sento a

casa, vivo sempre l’arrivo come un ritorno; non importa che siano sponde

italiane, caraibiche, orientali… il mare mi aspetta, mi accoglie, mi calma.

Riesce sempre a farmi sentire a casa: nella sua acqua mi avvolge la

rassicurante sensazione dell’abbraccio materno, lo sciabordio delle sue onde mi

restituisce l’energia e la convinzione che la vita è sempre, comunque vadano le cose,

un’assoluta enorme ricchezza di cui avere cura.

 

Mi piace goderlo al mattino,

quando la luce è ancora timida, le ombre sulla spiaggia lunghe, l’aria fresca.

 

Scendo e cammino. Incontro pochi

sopravvissuti alle notti affollate e rumorose dell’estate. C’è qualcuno che

corre, chi passeggia col suo cane, chi va a lavorare e dello spettatore

azzurro, immenso ed eterno che ha a fianco, neanche si accorge più.

 

Il ginocchio dolorante non mi

permette di correre, sono costretta a camminare, ma oggi non me ne lamento. Lo

sforzo minore mi permette di guardarmi intorno, osservare la macchia

mediterranea, i maestosi pini marittimi, le fronde degli oleandri che esplodono

di colore.

 

Lui mi accompagna, controlla i

miei passi, non mi lascia sola. Il lento e ritmico movimento delle onde dà il

passo alla mia marcia. A un tratto tolgo le cuffie dalle orecchie; la musica

improvvisamente mi disturba, copre il rumore del mare, in confronto al quale essa diventa

quasi frastuono.

 

Con un compagno così la musica

non serve. Camminiamo, ci ascoltiamo a vicenda. Mi racconta del tempo che

passa, delle anime che sulle sue rive o nell’abbraccio delle acque  lo interrogano; io gli parlo ancora dei miei

sogni; nonostante gli anni, cerco nel profondo della sua immensità risposte,  gli confido le mie inquietudini.

 

Arriviamo in fondo al molo, ci

voltiamo per tornare indietro. Ora il sole si è liberato dell’ultima altura e

finalmente prende possesso del giorno, le ombre si accorciano, il sudore

aumenta. Incrociamo un numero maggiore di volti ora, chi assorto, chi

distratto.

 

Arrivo alla spiaggia che mi ha

vista crescere: c’è un uomo, è solo, si è seduto sulla riva del mio mare; deve

aver percorso tanta strada, tanta vita, c’è un bastone appoggiato alla bianca

sedia di plastica. Le gambe stanche non gli permettono di camminare, ma il suo

cuore non soccombe ai dolori, in fondo invecchiare è solo cambiare prospettiva,

atteggiamento per trovare un modo nuovo di camminare e andare avanti…

 

Mi dà le spalle, scruta

l’orizzonte che limita o estende il mio, il nostro mare.
Mi domando se gli stia raccontando

l’affanno dei suoi anni, o si stia confidando su progetti non ancora

realizzati. Si conoscono da tempo, non ci sono segreti tra loro.

Vorrei entrare nella sua testa, leggere i suoi pensieri, conoscere cosa animerà le mie riflessioni tra qualche anno… ma non ci sono mai riuscita.

Mi godo la vista ancora un po’, poi mi avvicino, lo guardo, sorrido.

“Ciao pa’…”

 

 

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