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In volo

Quando ero bambina non c’erano dvd, film in streaming, foto digitali e video su telefoni cellulari, l’unico telefono era quello grigio, con la ghiera,  la cornetta e occasionalmente un lucchetto, per preservare le esigue casse familiari nei periodi adolescenziali di ciascun figlio, che trascinato dall’amore passava ore al telefono.
I ricordi di famiglia erano quindi ridotti alle poche foto ricordo delle ricorrenze più importanti, festività, compleanni, Comunioni, matrimoni, e di tanto in tanto, se si era fortunati al punto di avere una cinepresa, dei filmini super 8: non ricordo perché si chiamassero così, ricordo però ancora l’atmosfera di sospensione e mistero che caratterizzava i momenti in cui si decideva di rivederli: si stendeva un lenzuolo sulla parete, si rendeva buia la stanza, si doveva poi sistemare il proiettore su un tavolo, con dei libri sotto i piedini per far sì che le immagini fossero proiettate sullo “schermo” arrangiato alla  meglio. Seguiva poi la sistemazione della bobina nel proiettore, operazione che richiedeva una certa pratica. I più piccoli, curiosi e impazienti, facevano fatica a restare seduti ma poi, tutto magicamente cominciava: prima immagini sfuocate, buchi neri, pezzi di pellicola bruciata, poi finalmente qualche volto familiare appariva, si muoveva rapido, come un personaggio dei film di Charlie Chaplin, non faceva che salutare e parlava a vuoto perché l’unico sonoro era il fruscio del film che girava.
Il mio filmino preferito era quello che documentava il primo viaggio in aereo, avevo diciotto mesi e volavo verso il Canada, a trovare i miei nonni, che mia madre aveva visto partire insieme a fratelli e sorelle dieci anni prima e in quell’occasione, finalmente avrebbe riabbracciato.
Quando mio padre faceva girare nel proiettore la pellicola io mi allontanavo dalla stanza buia dove ci trovavamo per entrare in quel lenzuolo, dentro la bobina, entravo nel film, affascinata da quei volti sorridenti che dal bianco del telo mi attraevano a loro. Mi vedevo piccola e in carne, in braccio a mia madre, guardare assorta fuori dal finestrino, dove due potenti motori e la semiala del Boeing 747 erano l’unico segno dell’opera dell’uomo in un mare di nuvole, un tappeto, un piumone di nuvole, un oceano di panna montata in cui sia la piccola nel filmino e la bambina che la stava guardando avrebbero voluto tuffarsi. L’inquadratura si allargava poi su mio fratello e mia sorella, felici e sorridenti e proseguiva poi con le immagini della nostra vacanza, in un mondo a quei tempi estremamente diverso dal nostro.
Posso dire che già allora cominciavo a coltivare un sogno, che diventò aspirazione quando, nove anni dopo, tornai a trovare la mia famiglia e mi innamorai di quel mondo, decisi che avrei provato a farlo mio, volevo volare perché ero innamorata delle mete, ma soprattutto del viaggio: desideravo stare il più possibile per aria, poter vedere in ogni momento quel mare di panna montata che mi aveva stregata da piccola, volevo inseguire il sole al tramonto o precederlo all’alba, volevo guardare la luna in faccia, coglierne lo sguardo malinconico ogni volta che ne avrei avuto voglia; volevo trovarmi nell’emisfero boreale di sera e in quello australe al mattino, lasciare la nebbia di Milano e trovare, all’atterarggio la pioggia monsonica dell’Oceano Indiano.
Ventitré anni fa, in un grigio mattino di novembre realizzai il mio sogno. Da allora, per tanti anni ho continuato a vivere tra le nuvole, ad apprezzare i benefici della mia professione e a sopportarne i tanti, poco conosciuti, lati negativi; a consolarmi, darmi forza, convincermi a continuare, c’erano loro, le mie nuvole. La vita mi ha regalato due figlie, qualche imprevisto e cambi di rotta. Così, proprio come in tanti dei voli passati, dove nebbia, pioggia o vento ci costringevano a dirottare su un aeroporto alternato, sono tornata a terra, a investire le mie energie in altre passioni che negli anni ho coltivato, a trasmettere a chi mi circonda l’importanza di fare con  gioia  ciò che amiamo, e la necessità di amare ciò che facciamo.
Eppure, quando posso, quando riesco a fuggire, qualunque sia la mia destinazione, il viaggio inizia quassù, dove ritrovo le mie nuvole, le mie silenziose compagne, sagge consigliere, morbide consolazioni, compatte e riservate confidenti; da qui tutto è più chiaro, i dubbi si risolvono, le rughe si distendono, i problemi si ridimensionano, forse perché sono più distante dalla terra o forse perché sono più vicina al cielo.

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