Era l’alba di un mattino che avrebbe dato respiro solo per poche ore: la giornata si preannunciava calda nel pieno rispetto della tradizione: agosto in città non poteva significare altro che caldo, afa e noia.
Eppure lei era al settimo cielo, ancora poco, qualche sforzo ancora e poi si sarebbero finalmente incontrate; mesi di attesa, domande, incertezze, apprensione si sarebbero dissolti nell’emozione di conoscersi.
Un istante avrebbe cambiato le loro vite per sempre, niente sarebbe più stato uguale, per nessuna delle due. Avrebbero dovuto imparare ad amarsi, tollerarsi, capirsi. Sperava con tutto il cuore di piacerle, e di essere all’altezza del compito che le era stato assegnato.
Ormai non c’era più tempo per i pensieri, la luce filtrava dalle finestre, era arrivato il momento, mancava poco ormai, lo sentiva. E infatti, di lì a poco, nella confusione di tante sensazioni, dolore, stanchezza, entusiasmo, se la ritrovò tra le braccia: sembrava essersi appena svegliata, un faccino roseo, due occhi blu e capelli così biondi da sembrare bianchi; affatto provata dal “travagliato viaggio” la bambina cercò istintivamente il contatto, il battito del cuore che le aveva fatto compagnia per tanto tempo, e nel modo più naturale e istintivo ristabilì quel legame intimo cominciato nove mesi prima.
In quel momento paura, preoccupazioni, timori scomparvero, sopraffatte da una gioia incontenibile e dalla profonda gratitudine per avere avuto il privilegio della maternità.
Era l’alba di un mattino di diciassette anni fa, quel giorno, col tuo arrivo, hai dato un senso nuovo alla mia vita: auguri, mia “piccola” grande donna.
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