…. per documentarsi, per imparare, per conoscere. Il libro che ho appena finito di leggere, Figlie del mare, di Mary Lynn Bracht, non è tra i miei preferiti di quest’anno, tuttavia devo a questo romanzo e alla sua autrice riconoscenza perché mi hanno avvicinata a due argomenti di cui ero all’oscuro.
Il romanzo rievoca, pur nella finzione narrativa, una terribile verità: il rapimento e l’obbligo alla prostituzione per almeno duecentomila donne, coreane, filippine e di altre etnie, durante il periodo dell’occupazione giapponese in Corea, e nel corso delle guerre in cui il Giappone fu impegnato in seguito.
Giovani donne, a volte giovanissime ragazze, bambine anche di soli dodici anni venivano attirate con futili scuse, o semplicemente rapite con la forza e portate via, imprigionate in bordelli dove venivano stuprate da decine di soldati ogni giorno.
Le chiamavano donne di conforto, facendo violenza anche a un termine che è naturalmente collegato a pensieri consolatori, e non ad atti di costrizione.
Finita la guerra le sopravvissute per la vergogna non rivelavano nulla, rassegnandosi a convivere con terribili ricordi. La prima coraggiosa si fece avanti solo negli anni novanta, spingendo poi tante altre donne a denunciare questo crimine e costringendo il governo giapponese ad ammettere le proprie colpe, pur non riconoscendo mai completamente le proprie responsabilità.
L’altro motivo per cui sono grata a questo libro è per aver conosciuto la realtà delle haenyeo, “donne del mare”, pescatrici dell’isola coreana di Jeju, che, ogni giorno per tutta la vita, estate e inverno, si tuffano nelle profondità marine, e in apnea pescano abaloni, polpi e altre prelibatezze marine, che poi vendono al mercato, sostenendo così le proprie famiglie fino a tarda età e tenendo vivo, in questo angolo di mondo un universo familiare profondamente matriarcale.
Per ulteriori informazioni leggete anche:
https://www.vanityfair.it/news/storie-news/2018/07/08/corea-del-sud-la-vecchia-e-il-mare
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