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Peccati di gola

Sono a dieta dall’età di sedici anni, da quando cioè, al rientro da una vacanza in Canada mio fratello, giunto in aeroporto a prendermi, non mi riconobbe all’uscita. Era lì che cercava sua sorella, la quale aveva trascorso un mese e mezzo in Canada, presso parenti, ad approfondire la conoscenza della lingua inglese, e, forse distrattosi un attimo, non aveva riconosciuto nell’ippopotamo vestito di nero, pieno di bracciali e orecchini ingombranti quanto gli stessi bracciali, lo sguardo affettuoso di sua sorella. Ora quell’ingombrante bionda si avvicinava sempre di più rendendo sospettoso mio fratello che cominciava a rimuginare qualche frase in inglese pensando che la ragazza, perché era evidente che quell’ippopotamo fosse di sesso femminile, avesse bisogno di un’informazione, cercasse un taxi o la fermata del bus. Fu sorpreso nel sentirsi dire, in perfetto romano:
“Ciao frate’!”
Diciamo che nelle settimane in Canada mi ero appassionata allo studio approfondito, oltre che dell’inglese, degli usi e costumi, soprattutto alimentari dei canadesi, soffermandomi su quella parte di popolazione che non faceva jogging tutti i giorni, non prendeva vitamine, e non mangiava alimenti salutari.
Per la delusione delle mie zie, ai loro manicaretti italo americani preferivo ogni genere di junk food che anche  i miei cugini prediligevano e continuavano a propormi.
Insomma da quella vacanza ero tornata con una singolare cultura, ma soprattutto con sei chili in più!
Da quel momento mi misi a dieta e, terrorizzata dalla possibilità di ripiombare in un repentino ingrasso a opera del consumo sconsiderato di dolci e schifezze varie,  ho cominciato ad autolimitarmi, triste abitudine maturata nel tempo e, ahimè, tuttora in essere.
Ma essendo la carne debole mi concedo, di tanto in tanto dei peccati di gola.
Oggi, ad esempio, ho deciso che la giornata sarebbe stata avara di soddisfazioni e , giocando d’anticipo, ho deciso che meritavo di consolarmi con una colazione più ghiotta del solito.
Usciti tutti, chi a scuola, chi al lavoro, sono entrata in cucina per concedermi il mio lusso. Pur essendo sola mi muovevo furtiva tra i pensili finché ho trovato quella scatola di biscotti con le gocce di cioccolato. Ho scaldato la mia tazza di latte e ho aperto la confezione: l’odore del burro e del cioccolato hanno provocato un innalzamento repentino del livello dei miei zuccheri nel sangue: non abituato a cotanta fragranza il mio corpo si nutriva già con il solo profumo.
Preso il primo biscotto dalla scatola ne ho osservato ammirata le caratteristiche: le macchie irregolari del cioccolato, la forma rotonda… poi l’ho intinto nel latte. Lo vedevo abbandonarsi al suo calore, e farsi avvolgere indifeso dal bianco. Stavo per coronare il mio sogno, pregustando il cioccolato leggermente sciolto farsi masticare, quando è successo: essendo ormai poco avvezza a tali operazioni ho issato il mio vessillo, l’ho avvicinato alla bocca, per poi vedere l’intero biscotto piombare nella tazza piena di latte, lasciandomi in mano una briciola, minuscola lenza della preda ormai fuggita, e provocando nell’ordine:
schizzi di latte sul mio maglioncino nuovo, rigorosamente nero;
una frana di biscotto sbriciolato ridotto in pappa dentro la mia tazza di latte;
una rabbia sommessa mista a un senso di “quasi” colpa per il “quasi” peccato.
Delusa, ho filtrato il latte eliminando le briciole e la memoria della mia tentazione, ho recuperato la mia personale scatola di latta, e mi sono rassegnata  a mangiare le mie quotidiane due fette biscottate integrali.
La mia integrità  è salva, per ora….
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