Giovanni Paolo II è stato il papa che mi ha visto crescere nella fede e diventare adulta. Papa Francesco è l’uomo che mi ha riaccolto dopo il divorzio, presenza costante nella mia famiglia ricostituita, guida inconsapevole dei miei passi in questi anni, con le sue omelie semplici, pratiche, concrete, con le sue parole piene di buon senso, capaci di arrivare a tutti, cattolici e non.
Lo voglio ricordare con un ‘Fotogramma’ inedito, che fu escluso dalla pubblicazione: il testo qui sotto lo ritrae semplice ma determinato agli inizi del suo pontificato. Oggi vuole essere il mio tributo a un papa/papà che ha saputo svecchiare, rinnovare l’istituzione di cui era capo, e avvicinarla al mondo attuale.
Ci mancherai immensamente, Frankie.
Nella foto: le mani della mia mamma intrecciate in quelle di papa Francesco: un groviglio di tenerezza.
SOLO UN UOMO
Cara sorella mia,
un altro giorno comincia e vorrei tanto accoglierlo lì con te, salutandolo tra le nostre chiacchiere e un caffè.
Mi mancano le nostre confidenze, lo scambio franco dei nostri pensieri, il tuo calore.
E’ passato un anno e mezzo eppure ogni mattina mi faccio la stessa domanda: perché io? Non poteva toccare a qualcun altro? Ogni giorno mi chiedo come sarebbe la mia vita oggi se quel giorno questa sorte non fosse toccata a me. Penso a cosa starei facendo ora se tanti anni fa avessi scelto un’altra strada, più regolare, più comune.
Stamattina al risveglio ho pensato per un attimo di essere a casa: sognavo rumori e odori a me familiari, mi è sembrato di sentire la tua voce. Poi ho aperto gli occhi meglio e ho rivisto la realtà. Questa stanza, i miei obblighi a volte pesano come le grate dietro le finestre, limitano la mia libertà di movimento, di parola, persino di pensiero.
Vorrei poter tornare a casa, almeno per un giorno riprendermi la mia vita nel punto in cui l’ho interrotta, tornare libero. Non fraintendermi, non mi sto lamentando. E’ che a volte credo di non essere all’altezza, o più semplicemente temo che prima o poi farò un passo falso, ti deluderò. Non potrei perdonarmelo.
Ieri notte non riuscivo proprio a dormire. Mi capita spesso; in genere provo a riprendere sonno, prego, volto il cuscino sul lato più fresco, mi sforzo di tenere gli occhi chiusi. Quando nessun tentativo funziona, rassegnato, sguscio via dalla mia stanza e vado in giardino: per quanto sia comunque in gabbia almeno posso sentire il respiro della natura che riposa, ascoltare il mio passo lento che avanza, sedermi su una panchina senza l’obbligo di sorridere o parlare a qualcuno. Lì incontro Dio e gli chiedo di sostenermi, lo prego e lo sento rispondere attraverso la pace che a quell’ora di notte dà tregua al mondo.
Ieri notte invece, dopo aver preso già la via del giardino, ho preso un’altra strada: sono entrato nel palazzo e ho raggiunto quella stanza al terzo piano, di notte incute meno timore. Sono entrato e sprezzante del pericolo ho aperto la finestra. Se solo un binocolo fosse stato puntato su quella finestra, in quel momento, sarebbe stato un guaio. Ma Roma e i suoi paparazzi dormivano profondamente: il buio cupo lottava contro i primi rossori dell’alba, a est, oltre i castelli; la piazza era deserta, dietro le colonne un gruppo di ragazzi ubriachi giocava a nascondino: più in là furgoncini passavano a ritirare la spazzatura.
Ho pensato: come è innocua, non mi intimorisce affatto. Com’è diversa da quella sera di marzo, quando le finestre sono state aperte e la moltitudine di fedeli mi ha acclamato; per un attimo mi sono sentito perso: non sapevano chi fossi, non conoscevano neppure il nome che mi ero scelto, eppure mi davano fiducia, si affidavano a me senza remore, senza farsi domande. E poi ci chiediamo cosa sia la fede..
Ho chiuso gli occhi e me ne sono stato lì, ad ascoltare i rumori della città che piano piano si risvegliava, a scacciare i brutti pensieri che mi tenevano impigliato alla paura, a farmi abbracciare da quella piazza vuota. Per un attimo mi sono sentito un insonne come tanti, una delle tante anime affacciate alla finestra, , appoggiate a un muro, sdraiate su un divano a scacciare l’insonnia, a respirare l’aria fresca di questo scampolo estivo,a cercare il riposo, la pace. Sono entrato col pensiero attraverso ognuna di quelle finestre, ho osservato con la mente le tante vite che ogni palazzo, casa, baracca ospitano. Per un po’ mi sono sdraiato sui loro stessi giacigli, ho cercato di ricordare come ci si sente a non essere attesi, pretesi, sospesi in equilibrio alle prese con tanti oneri, e sotto nessuna rete a salvarci in caso di passo falso. Poi l’aria di Roma mi ha accarezzato il volto, disteso i crucci che lo aggrinzivano. Improvvisamente mi sono sentito leggero, libero, libero di scegliere di nuovo, la mia vita, la mia missione.
Così ho salutato lo spicchio di luna e tutti e due ce ne siamo andati a dormire.
Solo qualche ora è passata e sono di nuovo in piedi, a trovare conforto nello scriverti queste righe, a ricordarmi chi sono, da dove vengo, e a dirmi anche oggi che è giusto che sia qui.
-Santità. Siamo pronti. Il presidente arriverà in visita tra mezz’ora esatta. Il Cerimoniere l’aspetta-
Devo andare, sorella mia.
Ti abbraccio
Jose
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